Si
è concluso con lo spettacolo pomeridiano della domenica il ciclo di
rappresentazioni di Isola
51 di profilo sembra pazzo,
presso il teatro Tirso de Molina, lavoro di Mario Scaletta
interpretato dalla Compagnia
dei Giovanissimi di Brignano.
Un
sogno premonitore, proiettato nel futuro, quello che Mario Scaletta
fa vivere ai personaggi della sua opera. Come nelle vicende oniriche,
sul palcoscenico prendono vita, con un ritmo cadenzato, situazioni
surreali che, vestite rigorosamente di bianco, sembrano essere
piccole storie, con vita propria, nella storia più ampia che si
svolge in un ospedale psichiatrico del futuro o, piuttosto, su
un’astronave persa nello spazio?
Le
battute si susseguono senza sosta e strappano il sorriso e l’applauso
del pubblico ma, presto, ci si accorge che la comicità che si
sprigiona è come un velo che ricopre un aspetto fra i più
sfortunati che il genere umano è chiamato a vivere: il
condizionamento. È così che lo spettatore rimane catturato e
invitato a guardare oltre l’apparenza.
Lavoro
non facile che affronta un tema delicato. Rappresentato in modo
articolato, ricco di metafore, ben presto, il testo lascia salire, a
piccole dosi, la complessità emozionale che suscita ogni singola
battuta dei giovani attori: il riso rimane strozzato in gola, quasi a
proporci che forse sarebbe più opportuno piangere. È così che le
sensazioni virano da un polo all’altro.
Fantastica,
ancor più, l’idea di affidare ad un HAL
la parte di un Socrate moderno che riabilita pensiero e parola dei
suoi discepoli. Durante la notte, la fredda macchina inserisce nelle
menti dei ragazzi tutto ciò che il teatro e il cinema hanno proposto
negli anni a proposito di sentimenti ed emozioni. Tuttavia, le
lezioni di gruppo sembrano non essere sufficienti alla riabilitazione
che, come un miraggio, avrebbe portato i ragazzi sull’Isola
51,
un luogo ‘fatato’, un Paese dei Balocchi, dove avrebbero potuto
vivere una vita senza genitori e, soprattutto, senza condizionamenti
di sorta.
Fra
questi studenti del pensiero e della parola, c’è, però, un
personaggio chiave: il Barlume
di Coscienza.
Troppo spesso messa a tacere dagli interpreti stessi, perché in
apparenza è una bimba vestita di rosso e si sa i bambini non hanno
niente da dire (questo il pensiero di molti) ma quando, finalmente,
il Barlume
di Coscienza
(interpretato da una fantastica attrice in erba) entrerà in azione,
soltanto con il tocco di una mano, ecco arrivare fra i ragazzi la
sensibilità vera, quella autentica che viene dal cuore.
È
l’amore incondizionato dei genitori che, pur di riabilitare i loro
figli, avrebbero rinunciato alla loro vita creativa e di relazione:
questo è ciò che i ragazzi riescono a scoprire. Qui l’emozione si
fa autentica: è come se ogni genitore fosse chiamato in causa e,
finalmente, lo spettatore si identifica con padre e madre di quei
ragazzi che sono alla ricerca di loro stessi. Il lieto fine ci mette
davanti alla nostra mancata consapevolezza e, nello stesso tempo, ci
fa ben sperare che l’amore e l’arte possano restituire ai nostri
figli una vita degna di essere vissuta.
In
questo lavoro non si notano attori principali, un plauso va
indistintamente a tutti i ragazzi che hanno dimostrato una coesione
di gruppo non indifferente dove la singola battuta e il testo ben più
articolato hanno avuto lo stesso valore, proprio come l’orologio
che fa bella mostra di sé nella scenografia minimalista e che,
inesorabile, misura il tempo con le sue lancette che dipendono,
però, le une dalle altre.
Grazie,
Mario Scaletta! Un testo che fa riflettere, che insegna e che
antepone alla ‘catastrofe’ annunciata, il sentimento e l’emozione
come via di guarigione, come mezzo autentico di comunicare e di
relazionarsi, proprio come è nella visione del Fluismo.
(Clara
Orlandi)
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