venerdì 28 agosto 2015

IL FLUISMO getta uno sguardo su MATERA

Sono centinaia di anni che Matera ‘parla’ il suo linguaggio. I suoi Sassi si sono fatti carico, quasi ad espiare, la vita dell’uomo con le sue complesse vicissitudini. Per il Fluismo Matera è un’entità vivente che racconta la sua storia fatta di uomini del popolo come pure di nobili e potenti. Ma la storia, per il Fluismo non è solo sequenza di date e  avvenimenti, serve, piuttosto, a rivelare una visione allargata fra spirito e materia che sono propri della condizione umana, a mostrare un uomo in cammino con i suoi desideri, pensieri, azioni, con le sue gioie e i suoi dolori. E il cammino dell’Uomo-Matera inizia proprio dall’uomo delle caverne che, tuttavia, già possedeva in sé quel germe spirituale, quel desiderio occulto di spiritualità che, nei secoli, l’ha portato a diventare un attore, un interprete dell’Opera cosmica.
Ora Matera è un Saggio adulto che ha lasciato andare nei secoli miserie, dolori, morte e sopraffazione. Tutto questo è svanito, come per incanto, in un fatto puramente storico. Ora, il Saggio-Matera, lasciando il mondo della materia, può finalmente essere modello da apprezzare, espressione vivente di una ‘virtù’ che brillerà e sarà riconosciuta dal mondo intero attraverso una rinnovata Arte e Cultura  che attirerà un numero sempre maggiore di esploratori del BELLO.

Vorremmo, qui,  raccontare Matera attraverso due personaggi d’eccezione: i suoi figli adottivi Giovanni Pascoli e Carlo Levi 




Visione del Sasso Caveoso  dal muro della Piazzetta Giovanni Pascoli che si apre su Via Domenico Ridola
Matera non è solo una città della Basilicata, è ‘stratificazione’ della storia dell’uomo, visibile e tangibile proprio come la geologia ci mostra l’età della terra. È l’unica città al mondo, di cultura occidentale, che offre questa nuova prospettiva di osservazione.
Non è un caso che sia stata proclamata patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1993 e, con uno sguardo al futuro, nel 2019 sarà Capitale della cultura europea.


A Matera convivono, perché sono visibili, ancora oggi, tracce di insediamenti umani che risalgono al Paleolitico fino ad arrivare all’Età del bronzo; si va dall’habitat delle civiltà rupestri di matrice orientale, alla civitas occidentale normanna e sveva; dalle espansioni rinascimentali a quelle del barocco; dallo sfollamento disposto dal Governo negli anni cinquanta fino ai nostri giorni con la fase di recupero che ebbe inizio nel 1986 e che ci mostra Matera come è oggi: un museo a cielo aperto.
Le grotte di Matera scavate dall’uomo da sempre usate, prima come rifugi e poi come abitazioni immerse nel silenzio e nella vastità di uno scenario brullo e asciutto che contrasta con la rigogliosa vegetazione della regione, attirarono lo spirito mistico dei monaci seguaci di San Basilio che abbandonarono la Cappadocia per fuggire dall’Iconoclastia. Si rifugiarono in quelle grotte per ricoprirne le pareti di veri e propri capolavori di arte bizantina.
Qui, complessi rupestri ma anche conventi straordinari, cenobi benedettini in cui le celle dei monaci si stringono tutte intorno a una chiesa sotterranea; chiese le cui facciate e campanili sorgono misteriosamente dalla roccia.
Roccia su cui stili e influenze si mescolano nei Sassi Barisano e Caveoso e si fanno cripte rupestri, cisterne per la raccolta delle acque, pozzi dedicati al culto del dio Mitra, vicoli solitari e camminamenti, case grotta, orti e giardini pensili, spazi improvvisi con un pozzo al centro dove le donne si radunavano per lavare i panni.

Quando nel 1882 il prof. Giovanni Pascoli si trovò ad insegnare al liceo di Matera, 
  dovette, per prima cosa fare i conti con i miasmi che venivano su dal Sasso Caveoso: il suo olfatto non era abituato, come quello dei materani, agli odori pungenti. Lo scenario che nel 1596 era stato descritto dal Verricelli come uno spettacolo unico e suggestivo dove il cielo e le stelle si potevano ammirare ‘al di sotto dei piedi degli uomini’ quando all’imbrunire gli abitanti dei Sassi accendevano i lumi, era diventato, a causa dell’incremento demografico, una cloaca a cielo aperto come ebbe a denunciare, più tardi, Carlo Levi con il suo Cristo si è fermato a Eboli. 
Ecco le impressioni di quest’uomo mandato lì in esilio dal regime fascista: “Arrivai a Matera verso le 11 del mattino. Avevo letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che c’è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche. Allontanatomi un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case e, dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera. La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva di lassù una chiesa bianca, Santa Maria de Idris che pareva ficcata nella terra. Questo coni rovesciati, questi imbuti si chiamano Sassi. Hanno la forma con cui a scuola, immaginavo l’inferno di Dante, in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obliquo, tutta Matera. È davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante”. 
E quelle di un giovane aspirante poeta inviato lì dal suo maestro Giosuè Carducci:  “Io discesi una notte fra foreste paurose al lume della luna, cullato dalla carrozza, dalle dolci monotone canzoni del postiglione”: era l’una di notte fra il 6 e il 7 ottobre del 1882. Giovanni Caserta, nel suo Giovanni Pascoli a Matera 1882-1884, lettere dall’Affrica, racconta così la prima nomina di Giovanni Pascoli per l’insegnamento del latino e greco al liceo ginnasio Duni: “Pioveva e faceva freddo a Matera quella notte e poiché non aveva la possibilità di pagarsi un albergo, si riparò in un portone in attesa dell’apertura della scuola”. 
 Un esordio poco felice per questo ‘professorino’ di appena 27 anni lontano dalla sua amata Romagna e dalle sue sorelle “Un’Africa ostile, un esilio forzato in attesa di tempi migliori”. In una lettera inviata alle sue sorelle: “ […] Matera invece è una città abbastanza bella, sebbene un poco lercia anche lei; e c’è difficoltà ad albergare. Se vedeste! I contadini, o cafoni, vanno vestiti nel loro selvatico e antiquato costume e stanno tutto il giorno, specialmente oggi che è domenica, girelloni per la piazza. Hanno corti brachieri e scarponi grossi senza tacco, una giacca corta e in testa un berrettino di cotone bianco e sópravi un cappello tondo. Sembra che si siano buttati già dal letto in fretta e in furia, e si sian messi per distrazione il cappello sopra il berretto da notte. Una particolarità curiosa! Qua gli uomini purchessia vanno in calzoni corti e calze fuori come i preti di costà; i preti invece hanno i calzoni lunghi come costà gli uomini purchessiano. Ho concluso che i preti vogliono sempre far le cose alla rovescia degli altri […]”.
 Tuttavia “tra topi e afrori insopportabili” ebbe modo di sistemare la biblioteca arricchendola di testi classici latini e greci in un contesto estremamente povero dove “la cultura nel migliore dei casi era un lusso e nel peggiore un’arma di sopraffazione nelle mani delle classi agiate” e ancora “Non c’è un libro qua: da vent’anni che c’è un liceo a Matera nessuno n’è uscito con tanta cultura da sentire il bisogno di qualche libro; i professori pare che abbiano la scienza infusa”. 
Pascoli e Levi, questi figli adottivi, hanno sicuramente passeggiato per le strade e i vicoli di Matera, salendo o scendendone le scale, allungato il passo per quella che oggi è Via Domenico Ridola (archeologo per passione che alla fine dell’800 organizzò le prime ricerche sistematiche in Basilicata), gettato uno sguardo sul Sasso Caveoso dal muro di cinta o verso le case antiche che la fiancheggiano, ammirato gli adorni di foggia artistica in hierro forjado delimitanti piccoli balconi come era in uso a Madrid, fatto visita o sostato davanti i portali delle numerose chiese come quello delle Anime Purganti dedicato alla morte, dove le teste coronate e quelle degli alti prelati hanno una fisionomia del tutto identica a quella della gente del popolo: un teschio rinsecchito. 
Proseguito per quella che oggi è Via del Corso e  Piazza Vittorio Veneto per ammirare la veduta d’insieme del Sasso  Barisano. Hanno avuto modo di toccare con mano ‘ignoranza e miseria’ lasciate in eredità dai Borboni, una eredità materiale e morale voluta e sostenuta dalla nobiltà e dal clero che intendevano così mantenere il loro potere su una popolazione che non viveva molto diversamente dai primi uomini insediati in quelle grotte, dove  animali e uomini convivevano negli stessi angusti spazi senza acqua, illuminazione, servizi igienici. 
“Un’offesa alla dignità umana” avrebbe dichiarato Alcide De Gasperi nel 1952 (sensibilizzato dal testo di Carlo Levi) e aveva ordinato che gli abitanti venissero trasferiti nelle case popolari con acqua, luce e servizi igienici, ma le vasche da bagno sembrarono un lusso eccessivo tanto da diventare piccoli orti casalinghi. 
Ritenuti motivo di forte imbarazzo, solo 60 anni fa, i Sassi, sono oggi visitati da turisti provenienti da tutto il mondo e, sono stati e, continueranno ad essere fonte di ispirazione per molti artisti come scrittori, poeti, pittori, cineasti, ecc. grazie alla  sorprendente energica bellezza piena di contrasti e di mistero che li anima.



 Un ringraziamento particolare va alla guida dott. Francesco de Lellis che ha saputo, con la sua competenza, stimolare la visione del BELLO.

                                                                                                        (Clara Orlandi)